Casa vacanza Il Garibaldino, affitto a notte in Garfagnana

Cultura in vacanza …


Cultura in vacanza.. 

Sassi si trova nel comune di Molazzana, a 40 km da Lucca. Si raggiunge da Gallicano e da Castelnuovo di Garfagnana, con una strada che consente di ammirare l’intera media valle del Serchio, lungo il quale, venendo da Lucca, si incontra la suggestiva e ardita struttura del Ponte del Diavolo, di origine medioevale.
Il territorio è caratterizzato dal Gruppo delle Panie e l’altopiano della Vetricia dove si trova l’Abisso Revel, che con i suoi 300 metri, costituisce una delle massime verticali ipogee del mondo. Dalla Foce di Petrosciana si può contemplare il monte più singolare delle Alpi Apuane, senz’altro unico in Italia e molto raro nel resto del mondo: si tratta del Monte Forato la cui parte superiore è costituita da due vette unite tra loro da un ponte naturale modellato nella roccia calcarea. Tra la Pania della Croce e la Pania Secca si può ammirare il profilo di un gigante addormentato , l’ ”Uomo morto”. Adagiato sulle sue pendici si trova il Rifugio Rossi, raggiungibile a piedi in un ora di cammino dal Piglionico. Lungo sentieri tracciati o strade comunali sono possibili escursioni anche a cavallo o in mountain bike.
A Castelnuovo Garfagnana si possono visitare la Rocca Ariostesca, la Fortezza di Montalfonso; nelle vicinanze la Fortezza delle Verrucole e l’antico borgo di Castiglione Garfagnana nel cui comune, si trova il santuario di San Pellegrino e San Bianco dove in un tempietto , opera di Matteo Civitali o della scuola, si trovano i corpi mummificati di San Pellegrino e San Bianco . Facilmente raggiungibile da Castelnuovo Garfagnana è il Parco naturale dell’Orecchiella.

Da Gallicano si arriva alla Grotta del Vento, così denominata per la sua forte corrente d’aria , che ci presenta tutti i più svariati tipi di concrezioni calcaree e a l’Eremo di Calomini, situato a ridosso di uno strapiombo roccioso, la cui primitiva chiesina è del VII secolo, da sempre meta di innumerevoli pellegrinaggi. Sempre da Gallicano si può giungere all’Orrido di Botri, imponente gola calcarea caratterizzata da ripidissime pareti scavate in profondità, alte fino a 200 metri ed in alcuni tratti distanti appena pochi metri l’una dall’altra.

A pochi chilometri da Gallicano si trova Barga, antico castello di origine longobarda e Casa Pascoli dove visse il poeta, che conserva ancora tutto com’era al momento della sua morte.
Meritano di essere visitati inoltre il Lago di Vagli, nel cui comprensorio, nel corso degli ultimi anni, ha preso forma uno dei più interessanti complessi per lo svago in vacanza della Toscana, il Vagli Park. Meritevole di nota anche il “paesino fantasma” che periodicamente, in occasione dei rari  svuotamenti del bacino, riemerge con tutto il suo fascino e la sua suggestione. Si tratta di Fabbriche di Careggine, abbandonato e sommerso nel 1946 quando fu costruita la diga.
A pochi minuti dal lago, l’ 0asi di Campocatino, una conca di origine glaciale con un grande prato su cui si trova un gruppo di antichi “caselli” in pietra, caratteristiche abitazioni estive di pastori transumanti.
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Il paese di Eglio
Abitanti: 181, Altitudine: 691 m
Il nome- Deriva dalla rupe sulla quale è costruito il paese.

Un poeta nativo di Eglio, il Grillorosso (1889-1944), ha scritto su di essa una bella poesia dal titolo ”Ruderi del passato” che vale riportare.

Sassi sopra: sterpaglie addormentate
nel solleon lungo le vie deserte
che il sole accalda in sua gran calma inerte
tra il canto di cicale affaticate.

Grovigli strani d’edere allacciate
quasi a ripar sulle finestre aperte- cuoprono il lento andar delle lucerte- ne’ crepacci di case abbandonate.
Solo a intervalli il vecchio campanile
martella il tempo, i suoi rintocchi a volo
cadon nel vuoto; l’afa alta ristagna.
Scende un falco cacciando; rade il suolo,
poi drizza a l’alto e l’ombra sua sottile
si perde nel giallor della campagna.
Tra le macerie ch’ebber vita un giorno,
magra vitalba or s’avviticchia e cresce
e tra i rovi striscianti intorno intorno
dai chiusi anfratti libera al sol esce.
Ai grappi gialli e penduli d’avorno
il leccio auster la sua verd’ombra mesce
sui nudi spalti e il greppo disadorno
margina appena ed a se stesso incresce.
Con l’uom non più; coi folgori a battaglia
resta titano indomo a far solecchio
tra scrosci e vampe rutilanti e chiare.
Mentre all’azzurro ciel dove s’intaglia
tua sagoma gigante, avido specchio
fan la Turrite e il Rio fuggendo al mare.

Notizie storiche
E’ un paese antichissimo, ricordato in un documento dell ‘ 884, costruito sul crinale di un monte, il quale ha, nel versante opposto, un orrido strapiombo di 470 metri e uno sviluppo orizzontale di oltre 700.
Si sa che, intorno al Mille, il nucleo principale, cioè il castello di Sassi-sopra, cui si erano arroccate intorno le abitazioni dei servi della gleba, apparteneva alla famiglia dei nobili Porcaresi. Esso dominava su tutto il territorio che dalla Pania degrada fino al Serchio e comprendeva anche i paesi di Verni, Valico e Trassilico.
Dispersi i Porcaresi, forse più per le mutate condizioni economiche dei feudatari in genere che per fatti di guerra veri e propri, il “Comune di Sassi” (tale è indicato nei documenti) entrò a far parte (con Gallicano, Molazzana, Montaltissimo e Calomini) dei territori della “Gran Matelda” (Matilde di Canossa). Il documento, redatto e sigillato a “Villa Foxana “ (oggi: Fosciana) porta la data del 10 luglio 1105. Appena entrata in possesso legale delle nuove terre, la “Gran Contessa” fece riparare ed ampliare la vecchia chiesa di “San Frigdiano in Saxo ”.
L’anno 1385 il paese fu occupato dalle truppe di Bernabò Visconti e dei figli di Castruccio Antelminelli; furono prese “severe misure di sicurezza e – come scrive lo storico Sercambi – “fu ordinata la distruzione della Rocca, nido costante di turbolenti ed irrequieti abitatori”.
Nel 1393 essa però, era già stata ricostruita ed il vescovo di Lucca la passò in feudo ai nobili di Dalli.
Il 24 luglio 1451, con altri nove paesi, Sassi si diede al Marchese Borso d’Este, che ne formò la vicaria delle Terre Nuove.
Il 28 luglio 1524 Sassi ebbe l’onore di ospitare Ludovico Ariosto, che nella sua veste di Governatore della Garfagnana era salito da Castelnuovo a dorso di mulo, accompagnato da un “conducente, un segretario, duo balestrieri, onde far visita a quella Rocca”, la quale- scrisse- “in luogo molto più forte ed orrido delle Verrucole.”
Il Poeta avrebbe voluto che fosse rimessa in buono stato, nominato un castellano e vi avrebbe messo a guardia un certo numero di armigeri. Ma il Duca non voleva saper di spese in Garfagnana, né tanto meno a Sassi, così la regalò, coi territori annessi, ad un sassese, certo Iacopo da Mariano, “per averla il padre di lui difesa con rara intrepidezza, contro i Lucchesi “ e tanto fedelmente “che ne morse”.
Una clausola importante nel documento di cessione è questa: “a patto che, necessitando, possano li vicini là dentro rifugiarsi con le sostanze loro, bestie comprese”. E questo fa supporre che i vari alloggiamenti fossero ancora in buono stato.
Ma “li vicini “, invece, preferirono costruirsi le loro abitazioni un po’ più in basso, dove il terreno era più fertile, l’acqua più abbondante.
E così nacque Sassi, quello “di sotto”, che è l’attuale.
E’ convinzione che la chiesa di San Frediano in Sassi possedesse, in passato, ornamenti, pitture e arredi di notevole pregio.
I setaioli lucchesi (i Bonvisi, i Talenti, i Cenami) che nei secoli XII e XIII fornirono i loro drappi alle cattedrali e ai nobili di mezza Europa, tesserono anche manti, stole e pianete per varie chiese della Val di Serchio e, certamente, anche per questa, legata al nome della “Gran Contessa” e dedicata ad un vescovo lucchese.
Alcuni, dunque, di questi arredi sono rimasti (una croce astile in argento sbalzato, del ‘400, con numerose figure sacre; una pianeta (forse dello stesso secolo, tessuta in seta ,filigranata in oro), ma altri sono andati irrimediabilmente perduti.
Nella seconda metà del secolo XV era operaio un certo Battista Bartolomei (“ operaius ecclesiae Sancti Frigdiani”) il quale, com’è detto in un contratto del notaio Ser Lucenzio Migliori, il 28 dicembre 1814, dava incarico a Matteo Civitali di scolpire un tabernacolo in marmo di Carrara, “pulcrum et compositum et ornatum”(bello , ben fatto e ornato), da collocarsi (chiaramente detto) nella chiesa “de Sassi in Gharfagniana”. Compenso pattuito:otto ducati d’oro.
Oggi quel tabernacolo non c’è più, in nessuna delle chiese del paese, né in quella di Sassi-sopra, né in quella di S.Rocco, né in quella che sovrasta gli antichi casolari di Granciglia.
L’anno 1827 fu aperta al culto la nuova chiesa parrocchiale anch’essa è dedicata a S. Frediano. Vi furono trasportati gli ornamenti, gli altari , i quadri di quella vecchia, ma il tabernacolo del grande Civitali, o andò perduto nella rimozione, o già fin da quel tempo era scomparso.

Casa vacanza “Il Garibaldino”

Il perché del nome: un tributo doveroso a chi con ardore combattè per l’unità d’Italia

Qui visse e morì Luigi Bertozzi , conosciuto da tutti come “il Luigin” . Era nato a Castelnuovo nel 1842 da Giuseppe e Marianna Ferrari, morì a Sassi il 20 novembre del 1920, in questa casa in via Umberto I n 18 , oggi via centrale n 26. Aveva sposato Marianna Giannasi e da lei aveva avuto due figlie, Irma ed Alduina.
Fervente garibaldino partecipò alla battaglia di Mentana nel 1867. Nel diciannovesimo anniversario di tale evento ricevette la medaglia d’argento e un attestato per aver combattuto per l’indipendenza e l’unità d’Italia.
Per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia il Comune di Molazzana ha voluto ricordarlo in una lapide collocata sulla facciata del Municipio.

La battaglia di Mentana avvenne il 3 novembre 1867 e va inquadrata nel complesso degli sfortunati tentativi messi in atto da Giuseppe Garibaldi per conquistare Roma e farne la capitale d’Italia. Come è noto infatti, dopo la proclamazione del Regno d’Italia il 17 marzo 1861, con capitale Torino, il 27 marzo 1861 fu comunque individuata, sebbene in prospettiva, Roma quale capitale del Regno. Tuttavia la città capitolina era sede del Papa che esercitava su di essa e sullo Stato pontificio, ormai ridotto al solo Lazio, il potere temporale, godendo della difesa e aiuto militare di Napoleone III, imperatore francese. Tale aiuto, che non era mai mancato al pontefice dopo le vicende della Repubblica Romana, caduta appunto per mano francese nel 1849, costituivano un nodo diplomatico non da poco a livello internazionale. Proprio in tale quadro vanno perciò ricordati i fatti dell’Aspromonte del 1862 nel corso dei quali Garibaldi, fu fermato dal governo italiano per timore di un intervento francese. Il generale, ferito, che aveva tentato di marciare verso Roma, fu fermato dal governo italiano per timore di un intervento francese. Il generale, ferito, fu poi trasportato prigioniero al Varignano de La Spezia. Tale episodio denotò le grandi contraddizioni del Risorgimento che si acuirono quando il governo italiano e francese fecero le Convenzioni di settembre (1864) con le quali il Regno d’Italia, non solo rinunciava a Roma, ma si impegnava a difendere lo stato pontificio, trasportando la propria capitale a Firenze. Nel frattempo (1866) scoppiava la III guerra d’indipendenza che fu per l’esercito italiano un disastro (sconfitte di Custoza e Lissa) e nel corso della quale l’unico che riuscì a vincere una battaglia fu il solito generale Garibaldi a Bezzecca Fu così che l’anno successivo Garibaldi, sperando in un’insurrezione interna a Roma, organizzò un altro tentativo per la liberazione di essa. In realtà l’insurrezione non ci fu, non solo, i Francesi riuscirono a congiungersi alle truppe papaline portando ad esse aiuto prima che Garibaldi le sconfiggesse.. Fu proprio allora, esattamente il 3 novembre 1867, che i francesi usarono dei fucili nuovissimi, a retrocarica, chassepot modello 1866, mentre i volontari garibaldini, male armati, non risultarono assolutamente in grado di competere con chi avevano di fronte. La battaglia di Mentana fu perciò l’ultimo dei tentativi garibaldini di liberare Roma. Si tenga conto del fatto che gli italiani entrarono poi a Roma solo il 20 settembre 1870 quando Napoleone III , sconfitto dai prussiani a Sedan, non sarà più in grado di dare aiuto al papa. Con il 1870 si chiudeva per l’Italia la questione romana e si apriva la questione cattolica, perché di lì a poco sarebbe stato pronunciato ufficialmente da Pio IX il “non expedit”, cioè il divieto per i cattolici di partecipare alla vita dello stato.

La casa si affaccia sul “ Piazzale Gian Mirola” recentemente intitolato ad Almiro Giannotti, giornalista e scrittore, più noto appunto con lo pseudonimo di Gian Mirola.

Gian Mirola nacque ad Eglio il 19-6-1915 da Ottavia Soraggi e Alfezio Giannotti (Grillorosso). All’età di tre anni perse la madre. Il padre si risposò ed ebbe altri sei figli. Poco più che ragazzino iniziò a lavorare nella bottega artigiana dello zio Omero. Lavorava e studiava. E lavorando e studiando ottenne il diploma magistrale. Iniziò a insegnare a Careggine , poi fu a Brucciano, a Eglio e infine Sassi.
Dal 1951 al 1955 fu sindaco di Molazzana ed anche se il Comune, dopo le rovine della guerra, si trovava in una difficile situazione finanziaria, riuscì a compiere opere di notevole importanza.
Iniziò a scrivere nel 1933, a soli 18 anni. Scrisse le sue prime novelle e poesie su “La Garfagnana”. Tra le novelle, alcune delle quali gli avvalsero premi e riconoscimenti: “Io e la guerra”, “Quando il nonno era alpino a Dronero”; “La lettera macchiata di rosso”, “Un alpino a Betlemme”. Tra le poesie: “Natale, “Riflessi d’anima”, “Il poeta” , “Trasparenze”. A 19 anni cominciò a pubblicare su diversi giornali della provincia i primi articoli che illustrano le bellezze della sua terra e ne raccontano la storia con una passione e un amore viscerale che mai lo abbandoneranno.
Studioso dei problemi locali tra cui l’emigrazione, tenne conferenze un po’ ovunque.
Si occupò di folclore garfagnino in tutti i suoi aspetti pubblicando oltre a numerosissimi articoli anche alcuni opuscoli quali ad esempio ”Il vernacolo garfagnino e i suoi poeti” e “Quando il popolo si diverte”. Scrisse numerosi articoli su luoghi, fatti, personaggi illustri garfagnini,contribuendo a far conoscere la Garfagnana nel mondo.
Fece approfonditi studi sul Pascoli, pubblicando su “Il Popolo”, “L’avvenire d’Italia”, “Il Telegrafo” e molti altri quotidiani e settimanali italiani ed esteri.
I suoi articoli sono apparsi su più di 70 testate diverse in Italia e all’estero. Fu membro del consiglio di redazione del settimanale “Divagando”(NewYork) dal 1959 al 1964 e del quotidiano “L’Italia” (San Francisco).
Pubblicò due libri di narrativa per l’infanzia: “Il Pinocchio rubato” e “La Trappola”. Il primo, che ha avuto tre ristampe,ottenne il premio nel Concorso nazionale “Fondazione Collodi” del 1964.
Fu vincitore di numerosi premi giornalistici.
Nel 1969 pubblicò il primo libro della Collana “Casa nostra … e dintorni”.
Insieme a Suffredini, nel 1981 curò il il libro “Gocce d’inchiostro”: un condensato di articoli sulla Garfagnana (Tra questi, molti gli articoli suoi)
Nel 1983 si dedicò a “Cose da contà a veio”, una raccolta dei componimenti più significativi di Pietro Bonini, di cui scrisse note e prefazione.
Insieme ad Umberto Poggi e Giorgio Calzolai scrisse nel 1985 “Il Parco dell’Orecchiella”.
Collaborò con Paolo Cresci scrivendo nel 1986 un saggio introduttivo “E la tragedia continua”a “Il pane dalle sette croste.
Per ultimo un omaggio a suo padre: “Il Grillorosso”, una pubblicazione di alcune poesie con una introduzione biografica sull’autore.
Morì a Castelnuovo il 24 agosto 2001

La casa, tutta ristrutturata, è su tre piani. Gli appartamenti, le camere e le scale presentano particolari decori. Tutte le rifiniture sono di pregio. Lungo le scale si trova una vera e propria collezione di vecchie copertine della “Domenica del Corriere” dal 1899 al 1954 raffiguranti i fatti più importanti di oltre mezzo secolo di storia. Al secondo piano, sul caratteristico soppalco decorato con tralci di rosa canina, è a disposizione un fascicolo che illustra e spiega a grandi linee le famose copertine di Beltrame. Al piano terra: mini appartamento detto “Dei limoni” per i particolari decori sulle pareti composto da cucina tinello, camera matrimoniale, bagno, giardinetto e piccolo locale lavanderia. Al primo piano: mini appartamento detto “Dei melograni” composto da cucina tinello, camera matrimoniale, terrazzino con piccolo locale lavanderia. Al secondo piano: camera matrimoniale con bagno, camera doppia con bagno.

E’ considerato di Sassi anche se nacque ad Eglio lo scrittore- poeta Enrico Bertozzi cui è stata recentemente intitolata la piazzetta davanti al “Totto” , apprezzato ristorante dove la disponibilità, l’accoglienza e la buona vecchia cucina casalinga ne sono la caratteristica saliente.

Enrico Bertozzi è nato a Eglio , a mezza strada tra terra e cielo. Ragioniere, ufficiale di fanteria, reduce dalla Russia: per molti una gloriuzza, per lui ”l’Erico”, perché così vogliono il dialetto e la cordialità. In pensione, dopo quarant’anni, di silenzioso lavoro in banca, è tornato ai progetti dell’adolescenza
“Ci sono cose“ confessa un giorno alla moglie, “che da ragazzo avevo in mente e non ho mai potuto fare”. “Quali? Se è lecito?” “Seminare, piantare, innestare”. “ Chi te lo vieta?”. E l’Erico ci prova.
Il primo passo per dar voce ai sogni, ali alla fantasia. Semina, miete, raccoglie. Va per le selve e ne scopre i segreti; va con la gente, parla con tutti, magari in dialetto, e ne scopre i caratteri.
Cani, lepri, scoiattoli, uccelli: contempla, invidia, ne fruga i silenzi, ne studia le mosse; vorrebbe addirittura capirne il linguaggio (ma questo è impossibile, Erico; loro sì ti capiscono, tu non ci riuscirai mai) e così adatta, secondo natura, una logica ad ogni ululato, un sorriso di contentezza ad ogni trillo, un senso di paura ad ogni scatto improvviso.
Dalla natura alla pagina scritta: e la via del tramonto si illumina di aurora. In dodici anni ha pubblicato quattro libri, tutti ambientati in Garfagnana: nomi, località, persone, usanze, tradizioni.
I SUOI LIBRI- “Una volta si nasce” Città armoniosa, Reggio Emilia 1980). E’ la storia di Giovannino (alias Enrico), imprevedibile cucciolo d’uomo alla conquista del mondo che lo circonda. Centonovantasei pagine da leggere con attenzione, non tanto per la sua struttura globale, che può essere discussa, approvata o meno, ma per il suo stile, le sue considerazioni, i suoi cento episodi limpidi, freschi e soprattutto per la sua intensa grande umanità.
“L’Erico, Giulebbe e l’anima “(Città armoniosa, 1981). Qui il Giovannino di “Una volta si nasce”, spirito libero, intrappolato in una vita di convenzioni quanto meno mal digerite ci racconta come anche “una volta si muore”. E queste le sue ultime parole dall’ al-di-là: ”Fratelli, siate buoni, ma in ogni modo non perdetevi di coraggio. Io un’anima dannata non l’ho ancora vista”.
“Argo” (Città armoniosa, 1982)- Terzo libro, in ordine di tempo, che lo scrittore garfagnino ha regalato alla sua terra, ristampato nell’89, commentato e introdotto come testo di lettura già in varie scuole della Toscana e del Veneto. Commento e note di Elena Bertozzi.
E’ la storia di un cane da caccia, che il “padrone” dopo una vita trascorsa insieme, porta a sperdersi nei boschi dell’Apua mater. Anche qui vita e morte di un essere vivente, ma attraverso un corollario di vicende raccontate in uno stile tra l’ironico e il faceto, appropriato, personalissimo, proclamato “primo” nel 33° “Premio nazionale Castello”.
“Lupardo” (Genesi editrice, Torino, !989). Storia di un ladruncolo (se si può dire )… onesto. Vive col padre in una casa ai margini del bosco. L’ambiente è il solito: Garfagnana, anche se questa volta i toponimi indicati lungo tutto il racconto sono di fantasia. Un corollario di avventure tra il patetico e l’umoristico accompagnano il protagonista in assoluta povertà, dalla nascita fino al più imprevedibile dei matrimoni con una ricca ereditiera, bellissima, dotata di una splendida foglia di fico. Lupardo, forse, è il romanzo meglio impostato e più solidamente costruito dal nostro “Erico”.
LA CRITICA- E la critica? Che ne dice la critica di questo nostro autore emergente? Da Giorgio Barberi Squarotti, che fu il primo a presentarlo al mondo della cultura, ad oggi; dalle riviste letterarie qualificate, ai quotidiani che contano, ai premi letterari, alle tavole rotonde è un coro di consensi.
Dopo la sua morte, le figlie Giovanna ed Elena hanno voluto omaggiare il padre con la pubblicazione di due opere inedite: un romanzo,”Onorato” e una raccolta di poesie “….” E il successo continua.

Al “Pozzo” , a pochi passi dal ristorante “Il Totto”, nella via omonima, si trova la casa paterna di Nicola Fabrizi.

Nicola Fabrizi, secondo alcuni storici nacque a Modena il 4 aprile 1804; altri affermano invece sia nato a Sassi il 31 marzo e trasferito poi dal padre Ambrogio, pochi giorni dopo la nascita nonostante l’ opposizione della madre Barbara Pieretti, che forse voleva evitare al neonato un viaggio per quei tempi disagevole, a Modena per iscriverlo nei registri di quella città e battezzarlo. A sostegno della seconda ipotesi ci sono le testimonianze e i ricordi di tutta una generazione . Lo stesso giudice Ferdinando Bernardini, morto a Eglio verso il 1910, affermò sempre che Nicola Fabrizi era nato a Sassi, ma che poi per circostanze politiche o per ragioni sentimentali o per possibili agevolazioni giuridiche e finanziarie, fu trasportato e iscritto nel registro dei nati a Modena.
A Modena compì gli studi classici. Conobbe Ciro Menotti. Partecipò ai moti carbonari. Fu condannato, espulso dalla città..
Tornò a Sassi. I suoi rimasero, egli emigrò in Svizzera, dove conobbe Mazzini e Garibaldi.
Collaborò all’insurrezione della Savoia. Un anno dopo andò in Spagna, a combattere nella schiera dei costituzionali; dalla Spagna a Corfù, e quindi a Malta, a caldeggiare e a preparare i moti siciliani.
Partecipò con Garibaldi alla spedizione dei Mille, combatté a Marsala, a Milazzo e sul Volturno.
Nel 1862 fu arrestato per aver preso parte alla battaglia dell’Aspromonte; nel 1866 era con Garibaldi, nel Trentino; un anno dopo, a Mentana.
Fu deputato, per i collegi di Trapani e di Modena, per otto legislature consecutive. Dall’ottava alla quindicesima. Fu eletto anche nel collegio di Castelnuovo, ma optò per Trapani.
Morì a Roma il 31 marzo 1885.
I Garfagnini gli hanno eretto un monumento che oggi si trova sotto la Rocca ariostesca e titolato con il suo nome il liceo scientifico di Castelnuovo e la scuola elementare dell’Alpe di Sant’Antonio.
A Sassi, sulla sua casa natale, c’è una lapide, la seconda che lo ricorda. Fu collocata il 27-8-1961, in occasione del centenario dell’Unità d’ Italia, in sostituzione della prima andata distrutta durante la guerra .

(Tutte le notizie sono riprese, fatta eccezione per la battaglia di Mentana, da Gian Mirola e dal suo archivio).

Eglio si trova nel comune di Molazzana, a 40 km da Lucca . Si raggiunge da Gallicano e da Castelnuovo Garfagnana , con una strada che consente di ammirare l’intera media valle del Serchio, lungo il quale, venendo da Lucca, si incontra la suggestiva e ardita struttura del Ponte del Diavolo, di origine medioevale.
Il territorio è caratterizzato dal Gruppo delle Panie e l’altopiano della Vetricia dove si trova l’Abisso Revel, che con i suoi 300 metri, costituisce una delle massime verticali ipogee del mondo. Dalla Foce di Petrosciana si può contemplare il monte più singolare delle Alpi Apuane, senz’altro unico in Italia e molto raro nel resto del mondo: si tratta del Monte Forato la cui parte superiore è costituita da due vette unite tra loro da un ponte naturale modellato nella roccia calcarea. Tra la Pania della Croce e la Pania Secca si può ammirare il profilo di un gigante addormentato , l’ ”Uomo morto”. Adagiato sulle sue pendici si trova il Rifugio Rossi, raggiungibile a piedi in un ora di cammino dal Piglionico. Lungo sentieri tracciati o strade comunali sono possibili escursioni anche a cavallo o in mountain bike.
A Castelnuovo Garfagnana si possono visitare la Rocca Ariostesca, la Fortezza di Montalfonso; nelle vicinanze la Fortezza delle Verrucole e l’antico borgo di Castiglione, nel cui comune, si trova il santuario di San Pellegrino e San Bianco dove in un tempietto , opera di Matteo Civitali o della scuola, si trovano i corpi mummificati di San Pellegrino e San Bianco. Facilmente raggiungibile da Castelnuovo Garfagnana è il Parco naturale dell’Orecchiella.
Da Gallicano si arriva alla Grotta del Vento, così denominata per la sua forte corrente d’aria , che ci presenta tutti i più svariati tipi di concrezioni calcaree e a l’Eremo di Calomini, situato a ridosso di uno strapiombo roccioso, la cui primitiva chiesina è del VII secolo, da sempre meta di innumerevoli pellegrinaggi. Sempre da Gallicano si può giungere all’ Orrido di Botri, imponente gola calcarea caratterizzata da ripidissime pareti scavate in profondità, alte fino a 200 metri ed in alcuni tratti distanti appena pochi metri l’una dall’altra. A pochi chilometri da Gallicano si trova Barga, antico castello di origine longobarda e Casa Pascoli dove visse il poeta, che conserva ancora tutto com’era al momento della sua morte.
Meritano di essere visitati inoltre il Lago di Vagli, dal quale ogni dieci anni circa, riemerge in tutto il suo fascino e la sua suggestione, il paese di Fabbriche di Careggine, abbandonato e sommerso nel 1946 quando fu costruita la diga e l’ 0asi di Campocatino gruppo di antichi “caselli” sparsi, in pietra, caratteristiche abitazioni estive di pastori transumanti. Abitanti: 75  Altitudine:700m

Il nome
– C’è chi lo pensa derivato da Elio, triumviro romano nelle terre dei Liguri-apuani e c’è chi dal greco “elios”, che in italiano vuol dire sole.
Notizie storiche Il canonico Ricci, nella sua “Guida storica”, afferma che il paese è nominato in documenti del 952.
E’ da supporre che si riferisca ai due citati anche dal Raffaelli, nei quali, però, Eglio è detto “Jello”.
Essi narrano dei tributi che la terra di Jello pagava a quella di Foxana.
Foxana, è chiaro, sta per Fosciana, ma non è chiaro…Jello. Ce ne sono tre: a quale si riferisce? C’è un Gello in territorio di Pescaglia, uno in quel di Pistoia ed uno a Pontedera.
Un’altra considerazione: fra le terre “in provincia Garfagnana” nominate nella Bolla di Carlo IV (1376)
Eglio non c’è. C’è, invece, Sassi, che gli è contiguo, e c’è “Brancila” (oggi Granciglia). E sono,in tutto, 79 nomi di paesi. Se ne deduce che Eglio è sorto dopo, o che era, a quei tempi, un gruppetto di povere case senza importanza storica.
Nel 1494 gli abitanti di Eglio furono autorizzati a erigere una propria chiesa, la quale venne intitolata a San Frediano (oggi ha cambiato intitolazione: “Santa Maria e San Rocco”). Essa dipendeva in tutto e per tutto dal parroco di Sassi.
Poi la chiesetta a poco a poco, diventò parrocchia con tutti gli attributi: facoltà di celebrare i matrimoni, nel 1726; fonte battesimale nel 1902.
Nel 1934, don Bernardino Corsi, parroco di San Frediano, rinunciò legalmente ad ogni suo diritto sulla chiesa di Eglio. E fu così che Eglio divenne rettoria.
Nel V° centenario della sua fondazione è stata restaurata la pala di Bartolomeo di Stefano, pittore originario di Castelnuovo di Garfagnana. La tavola è da collocarsi tra il 1505-1506. Si sa per certo che tra la fine del ‘400 e gli inizi del ‘500 l’autore lavorò anche per le chiese di Sillico, Bargecchia, Pieve Fosciana, Sassi e Corfino. Lo schema di questa tavola, anche se più semplificato è quello della scuola lucchese che tradusse in termini originali lo stile di Ghirlandaio e Filippino Lippi. La pala , a Eglio, è venerata come “La Madonna della Tosse”, per l’aspetto scomposto e stralunato del Bambin Gesù, appunto in preda , secondo narrazione popolare ad un attacco di “tosse cattiva”.

Casa vacanza “il Grillorosso”

Il perché del nome: un tributo doveroso all’ “eroico combattente, poeta ribelle e gentile”, così come è scritto sulla lapide che il Comune di Molazzana e il giornale “La Garfagnana” vollero collocare sulla casa dove era nato.

Il Grillorosso, il cui nome di battesimo era Alfezio Giannotti, nacque in questa casa nel 1889 da Luigi e Maria Pocai.
Era il maggiore di cinque fratelli. A quattordici anni gli morì il padre. La fame , i triboli, i bisogni piagarono la sua grigia adolescenza.
Ricacciò in gola il pianto e radunò gli arnesi che aveva ereditato: pialla, scalpello, sega. Si ricordò di come, negli anni precedenti, li aveva visti manovrare al padre. Di giorno lavorava e quando tutti dormivano studiava: disperatamente.
Un comitato, formato dal giornale “La Garfagnana”, stampò il suo primo libro intitolato:”Raffiche”. Vinse un concorso. Una giuria di fama nazionale lo proclamò “poeta”.
L’arte, a quel tempo, non si premiava ancora con il denaro. E perciò, ai versi, alle letture, ai saggi sugli argomenti più disparati, alternava il lavoro manuale.
Scoppiò la quarta guerra d’indipendenza, andò soldato e in un assalto alla baionetta, nei pressi di Tarcento, fu ferito. Subì l’amputazione di una gamba. La sua mutilazione ebbe gli onori delle terze pagine, ma la miseria, i duri impegni del suo nuovo stato (sei mesi prima gli era nato un figlio) lo ricacciarono fra i trucioli e la polvere di un’officina, senza una gamba e molti sogni in meno.
Continuò a scrivere. Erano i primi anni dell’avventura mussoliniana. Uscirono in quel tempo sui giornali “Controvento” e “Grotteschi ”, due raccolte di poesie, di accostamento, forse, carducciano, solide nella forma, amare nel contenuto.
Sprizzava dai suoi versi ostilità al fascismo. Lo diffidarono, lo minacciarono. I giornali non vollero più ospitare i suoi componimenti, i quali cominciarono a viaggiare manoscritti, ripetuti a memoria, di contrabbando.
Nel ’36, su una rassegna in lingua italiana, a San Francisco di California, uscirono, in una sola volta, sedici poesie inedite. Le ultime. Il poeta non lo seppe neppure. Glielo comunicò il maresciallo dei carabinieri incaricato dell’inchiesta. Gli fu proibito di allontanarsi senza un permesso della questura, di scrivere ai giornali, di usare lo pseudonimo che aveva scelto vent’anni prima: “il Grillorosso”.
Si dedicò al folclore, scrisse articoli e leggende garfagnine, senza successo. La gloria bussa una volta.
Durante l’ultima guerra una scheggia di bomba lo freddò, in quattro minuti, sulla porta di casa
Era il 7 novembre 1944.

La casa che si trova in Via Alcide Rossi, vicinissima al vecchio teatrino intitolato a Gastone Venturelli, è su due piani con un piccolo giardinetto. Al piano terra: ampia cucina ,sala da pranzo, soggiorno con camino settecento in pietra serena e letto a giorno, ripostiglio. Al primo piano:camera matrimoniale, camera doppia, ampio bagno, ripostiglio-lavanderia. Da una scala esterna si scende dal primo giardinetto ad un secondo che permette l’accesso ad un caratteristico sottointerrato dotato di una stanza con tre letti a giorno, un bagno, un piccolo servizio cucina. Entrambi gli ambienti presentano particolari decori e belle rifiniture. Possono considerarsi abbinati, e pertanto nel complesso dotati di otto posti letto, oppure separati poiché hanno cancelli ed entrate indipendenti.

Alcide Rossi, nacque a Bahia Blanca (Argentina) da Mansueto Rossi ed Amelia Pocai, il 22 novembre 1895. Tre anni dopo i coniugi Rossi rimpatriarono e fu così che il ragazzo frequentò le elementari nel Paese di origine dei genitori (Eglio), il ginnasio a Castelnuovo di Garfagnana, il liceo a Massa, l’università a Firenze.
Il 15 novembre 1914 fu chiamato alle armi. Partecipò, come ufficiale di artiglieria alpina, a tutta la prima guerra mondiale. Fu congedato nel 1921. Riprese gli studi e un anno dopo si laureò in lettere e filosofia.
Insegnò un anno a Lovere (Lago d’Iseo) uno ad Arezzo, quindi a Piacenza, dove rimase fino alla data della morte 3 gennaio 1969.
Scrittore, critico, biografo, esegeta della poesia pascoliana; non c’è aspetto di essa che il Rossi non abbia affrontato; non c’è episodio, nella vita del Poeta di Castelvecchio del quale non si sia fatto interprete. I suoi studi pascoliani furono pubblicati dai più diffusi periodici italiani, le sue affermazioni citate e riportate dai critici più illustri. E’ del 1962 ”Il Pascoli visto da un Garfagnino”: un libro in cui la introversa personalità del poeta romagnolo vi appare in tutta la sua grandezza; uno studio che quanti vorranno avvicinarsi alla vita intima del Pascoli dovranno consultare.
DAL 1945 al 1968 collaborò a “Piacenza nuova”, “La libertà”, “Selezione Piacentina”, “Piacenza oggi”, “Vita apuana”, “La Garfagnana”, “La fiera letteraria”, “La settimana”,”Cronache padane, “La nazione”, “Il Telegrafo”.
Molti lo conoscono per una pubblicazione unica nel suo genere ”Il grana piacentino” che ottenne un successo imprevedibile.
Scrisse saggi su poeti e artisti garfagnini, dal Raffaelli al Porta, da Olinto Dini al Grillorosso; su usanze e costumi, dal tiro della forma , ai maggi e alle befanate.
Gli ultimi dieci anni della sua vita il Rossi li dedicò alla stesura del suo “Dizionario dei Garfagnini illustri, un volume di oltre 550 pagine, che comprende una quantità enorme di biografie irradiate in un arco di millequattrocento anni.
E’ considerato anche, e non a torto, come il più moderno ed autorevole revocatore di storia garfagnina.

Gastone Venturelli nacque a Eglio nel 1942 e morì a soli 53 anni nel 1995. Fu un appassionato raccoglitore e studioso del Maggio. La collezione da lui lasciata, dopo la sua precoce scomparsa è un passaggio fondamentale per la ricostruzione della storia e della diffusione del genere.
Il “Maggio” è una manifestazione di carattere popolare, che come tutte le rappresentazioni di questa natura, fonde in un tutto armonico poesia, musica e danza.
Il dialogo vi procede a strofe di cinque ottonari. Semplici ed ingenui gli scenari: un’aia o un prato servono benissimo per la rappresentazione.
Un cartellone indica il titolo del “Maggio” , i personaggi e il luogo dove avviene l’azione. Molte volte c’è un preludio ove un bambino, generalmente camuffato da angelo ne illustra l’argomento, cantilenando sulle note di un violino. Quando invece, il preludio manca, inizia subito l’azione.
L’ultima parte dello spettacolo è una specie di danza orgiastica, la “moresca” o balletto, come dir si voglia, che è una riesumazione più o meno fedele dell’antica “danza pirrica”.
Per molto tempo dimenticato , è tornato oggi ad essere conosciuto, apprezzato e diffuso.

Un altro illustre nativo di Eglio è Pietro Pocai.
Pietro Pocai nacque a Eglio nel 1853. Era il secondo di cinque fratelli. Il padre si chiamava Agostino, la madre Beatrice.
Fu avviato agli studi ecclesiastici, ma il “latinorum”, probabilmente, non gli andava a genio; così lasciò la tonaca ed emigrò in America. Attraversò per primo tutta la vasta zona che si estende da San Pedro do Turvo fino al lontanissimo Rio Paranà, dal Rio do Peixe al Paranapanema. Studiò e imparò i dialetti delle moltissime tribù selvagge che conobbe, raccolse diamanti di tute le grossezze, farfalle di ogni specie ed amuleti. Donò i diamanti tenne le farfalle.
Nel 1886 giunse nei pressi di un grandioso fiume : il Paranapanema. Qua e là sorgevano gruppi di piccole isole ricoperte di una intricata flora equatoriale. La terra era rossa, rossa la polvere, come limatura di ruggine. Decise di fermarsi. Costruì una capanna, la prima, forse, della sua vita di nomade. I Coroados (una tribù di taglia teste) gliela distrussero. Ne costruì un’altra. Distrussero anche quella. Allora il Garfagnino tornò indietro per centinaia di chilometri, chiamò con sé altri emigrati, sconfisse i Coroados e dopo alcuni mesi un gruppo di capanne sorse nel punto stesso in cui gli indigeni avevano stroncato il primo tentativo d’insediamento.
Una cascata d’acqua, che rompeva col suo rumore assordante il silenzio del luogo, dette nome al villaggio: Salto Grande. Capeggiati dal Pocai, gli emigrati cominciarono a diradare la foresta con la scure e col fuoco, furono gettate le prime manciate di semi, germogliarono le prime piante di caffè. Contemporaneamente sorsero i “curral” per le bestie, uno spaccio, una chiesa. In pochi anni le abitazioni crebbero prodigiosamente. Gli italiani arrivavano a Salto Grande dallo stato di San Paulo, da quello del Paranà, da tutti gli altri stati vicini, con l’intenzione di aggregarsi all’ormai nota tribù del Pocai, considerato il capo politico-sociale-organizzativo della colonia. E tale fu, senza che nessuno riuscisse mai a detronizzarlo dalla posizione di privilegio conquistatasi, dal 1886 (data della fondazione) al 1913 (data della sua morte).
Oggi è ricordato nel nome di una delle più belle strade della città. Nel centenario della nascita (1953) il municipio gli eresse un monumento.

(Tutte le notizie sono riprese da Gian Mirola e dal suo archivio)



Azienda Agrituristica Sara Andreucci
55020 Localitá Ribosto, Eglio - Lucca
P.iva 02003770464






Foto della  Garfagnana - GarfagnanaBella.it

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